Dario Pierandi: la mia vita, la cucina vegan. Dalla passione alla professione.
Sono nato nell’estate del 1961. Come il muro di Berlino. Ma io i muri non li amo. Amo la mia libertà e quella degli altri esseri. Da ragazzino vivevo in una piccola fattoria immersa nella campagna marchigiana.
Osservavo la vita degli animali che i miei tenevano in gabbia e sognavo di scappare via, per raggiungere un mondo più libero.
A diciannove anni, l’incontro con il lavoro in cucina, in un grande hotel di Rimini. In quel periodo romagnolo conosco gente, faccio tante esperienze, e mi accorgo che preparare cibo per gli altri ha per me qualcosa di magico. Frequento corsi professionali di cucina, prendo casa vicino al mare e imparo a convivere con la mia raggiunta libertà. Ma ci sono ancora tante domande dentro di me.
A trent’anni, il mio primo viaggio importante. Il mio amico Gustavo mi parla di un ashram in India.
Prendo il primo volo e ci vado. L’india, che io consiglio a chiunque di visitare, mi getta in faccia molte verità: la povertà e la sofferenza di tanta gente, ma anche la possibilità di un cibo diverso, semplice, colorato, fatto soprattutto di vegetali.
Torno in Italia, e molte cose cambiano. Divento vegetariano. Mi informo sul tema, studio, frequento altri corsi di cucina, e mi sembra di avere qualche risposta in più. Capisco cosa vuol dire iniziare a lavorare su se stessi. Qualche anno dopo, però, scopro di avere un problema serio di salute. E mi crolla addosso il mondo. Per un po’, mi perdo nella paura. Poi mi faccio forza e mi rialzo. Consulto medici olistici, seguo cure alternative e imparo due cose fondamentali che:
il cibo è la nostra prima cura e che non è soltanto il cibo a nutrirci, ma anche altre cose, che appartengono al mondo dell’anima. Decido di non cibarmi più di prodotti di origine animale, e il cambiamento si estende: cambiano le mie emozioni, le cose che penso, le parole che uso e il modo in cui percepisco la vita.
E poi, altri anni sono passati, e sono tornato a vivere nelle Marche, dov’è cominciata la storia di quel ragazzino che voleva scappare. E oggi credo che ognuno abbia una sua rivoluzione da compiere.
Uno dei più grandi pensatori buddisti ha scritto che l’Uomo può imparare ad essere felice solo se ha una mente libera da condizionamenti e credenze limitanti, se studia costantemente e se ha l’impulso continuo della curiosità. Solo grazie a queste cose possiamo conoscere nuovi mondi, accoglierli in noi e compiere così la nostra rivoluzione personale.
Io sono Dario, e i muri non li amo.
La mia formazione
In cucina non c’è mai una fine, ma tanti inizi, dietro a tante scoperte.
La mia formazione è cresciuta davanti ai fornelli accesi di tanti ristoranti, giorno dopo giorno, con le persone che aspettano al loro tavolo di vedere quello che sai fare.
Nel 1980 cominciai come commis nella cucina dell’hotel Helvetia, di Rimini. Fu un colpo di fulmine, dopo tanti lavori che non erano fatti per me. D’estate si lavorava senza pause, ma il tempo volava; e d’inverno frequentavo i corsi professionali di una scuola regionale di cucina. Dopo 5 anni divenni cuoco a tutti gli effetti.
Cominciarono a quell’epoca anche i miei viaggi in India: 23 in 20 anni.
Cucinavo come volontario nelle mense affollate degli ashram. Tanta gente a cui dare da mangiare e un incontro fondamentale: quello con la cucina indiana. Una svolta per tutto il mio essere (ma questo l’ho già raccontato).
Compresi il valore di una cucina rispettosa della Natura e degli animali (i nostri fratelli di viaggio) e cercai di diffondere questa visione anche in Italia. Dal 1993 in poi, collaborai all’apertura di 11 ristoranti dotati di menu vegetariani, in diverse città: Roma, Arezzo, Brescia, Catania ecc.
Nel 2003, tornai nelle Marche, e cominciai a guidare la cucina dell’Hotel Belsit, di Senigallia.
Poi, negli ultimi anni, l’incontro con Simone Salvini, grande chef di cucina naturale ayurveda e collaboratore del prof. Umberto Veronesi. Simone ha una sensibilità rara, e io lo considero il mio maestro. Simone mi ha insegnato piccole e grandi alchimie, e quando mi dice:
“Dario, bisogna sperimentare, sperimentare, sperimentare!”, io capisco che in cucina non c’è davvero mai una fine, ma solo tanti inizi.
La cucina per me
Per me la cucina è il senso e l’entusiasmo.
Da ragazzino osservavo la mamma e le zie quando si riunivano per cucinare i piatti delle feste. Ero attratto da quell’atmosfera un po’ stregata, tra pentoloni e ingredienti da mescolare, ma ero ancora piccolo e potevo solo guardare senza metterci le mani.
Poi, a diciannove anni, quando cominciai a lavorare nella cucina di un hotel, divenni padrone per conto mio di quella magia un po’ segreta: unire gli ingredienti, impastare, assaggiare, toccare il cibo, cuocerlo per gli altri… Era come esprimere tante cose di me senza usare le parole.
E c’è un senso profondo che spinge ancora oggi i gesti che faccio in cucina. Un senso che arriva da lontano, che diventa istinto e che mi libera la mente.